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Paolo Garbisi è l’ultimo di una lunga lista di giovani su cui l’Italia ha puntato per il ruolo di apertura. Metodi e tecniche per non sentirne la responsabilità
Di Gianluca Barca

Negli ultimi quindici anni la maglia numero 10 dell’Italia è passata su tante di quelle spalle che è facile perdere il conto. Come alleggerirne il peso allora, soprattutto se hai 18 anni, sogni di fare il rugbista professionista e sei anche un briciolo pessimista, o quantomeno realista?

La risposta prova a fornirla Paolo Garbisi, classe 2000, apertura della Nazionale U20 che, dopo il Sei Nazioni, si appresta ad affrontare il Mondiale di categoria in Argentina.

“Certo la maglia numero 10 pesa, è una responsabilità – dice il mediano di apertura veneziano -, per questo cerco di non pensarci. Su suggerimento di Cocco Mazzariol ho escogitato un escamotage: immagino che sulla mia schiena invece di 10 ci sia scritto “io” in lettere maiuscole. In questo modo cerco di concentrami sul mio gioco, sul mio lavoro, su quello che devo fare per aiutare la squadra e mettermi al servizio dei compagni. Non penso al valore del numero”.

Paolo Garbisi non è un giovane scavezzacollo, se questo è lo stereotipo che del rugbista che avete in mente. Studente di ragioneria prova ad applicare l’analisi contabile anche alla sua carriera, in campo e fuori.

“Sul campo cerco di applicare il giusto mix di movimento alla mano e gioco al piede – dice -. E, ogni tanto, mi piace anche provare ad attaccare la linea, in modo da non dare troppi riferimenti agli avversari, per non essere troppo prevedibile”.
Variazioni calcolate, insomma, per mettere in moto una linea di trequarti che quest’anno, in U20, pare particolarmente attrezzata per fare bella figura su tutti i campi.

“Sono d’accordo -analizzi Garbisi – è una linea d’attacco molto equilibrata, con ottime gambe, velocità e tecnica individuale. Con i veneti, Trulla, Mba, Mastandrea, Peruzzo, ci conosciamo da quando abbiamo 10 anni. Poi c’è la potenza di Mori e Mazza, che come Batista vanta più esperienza di noi in U20 avendo già giocato in questa squadra la scorsa stagione.

Per quanto riguarda il Sei Nazioni appena finito penso che a tratti abbiamo dimostrato di poter far male a qualunque difesa, il problema è che questi tratti sono stati troppo sporadici. Dobbiamo lavorare ancora di più per migliorare l’accuratezza del gesto e la continuità durante tutti gli 80 minuti”.

Garbisi viene dalla U18 che l’anno scorso a Cardiff batté a sorpresa l’Inghilterra. “Non è che io proprio ci credessi, anche se loro la partita precedente avevano perso con la Scozia, di natura sono un po’ pessimista – spiega -, ma poi nel corso del match ci siamo accorti che il risultato era alla nostra portata e ci abbiamo creduto. È stata una vittoria bellissima, una grande emozione”.

Il ragazzo in realtà è misurato, attento. La vita dell’Accademia Ivan Francescato non lascia molti spazi.

“Mi alzo alle 7.30, prima delle 8 sono in macchina per andare a scuola a Brescia – racconta -. Verso le 13.30 torno in Accademia (al collegio Bonsignori di Remedello, ndr), mangio, studio, mi riposo e alle 15.30 andiamo in palestra. Poi pullman per Calvisano, allenamento sul campo e rientro alle 19. Cena, due chiacchiere e a letto”.

Non resta molto tempo per il resto, neanche per studiare…

“Devi approfittare di tutti i momenti liberi, ogni volta che hai tempo lo devi sfruttare. Frequento il V anno di ragioneria e me la cavo abbastanza bene, mai bocciato, mai rimandato. Mi accontento delle media del sette, non mi pare male. È una vita di sacrificio, ma se sei spinto dalla passione non ti pesa più di tanto. Sono qui per fare di una cosa che mi piace un lavoro”.

Niente morosa?

“No no…la morosa c’è, si chiama Mariasole, stiamo insieme da un po’ di anni. Questa esperienza è un bel test anche per il nostro rapporto, finora lei è stata molto comprensiva e non mi ha fatto pesare la scelta. Poi quando posso faccio un salto a casa, a novembre il campionato ha fatto una lunga pausa…”

La squadra dell’Accademia gioca il campionato di serie A: analisi e giudizi sul torneo.

“Se devo essere sincero non è che giocare in A mi piaccia molto: le squadre avversarie sanno che siamo giovani e cerchiamo di praticare un rugby di movimento, quindi contro di noi si chiudono, provano a rallentare il gioco, puntano molto sulla mischia e sulla touche, fasi dove in genere hanno più fisico e sostanza. Diciamo che è un’esperienza con cui imparare a venire a capo con il rugby degli adulti”.

Cresciuto nelle giovanili del Mogliano, l’anno scorso Paolo Garbisi ha esordito in Eccellenza un mesetto prima di compiere 18 anni (il 10 marzo, al Quaggia, Mogliano-San Donà 23-34).

“Era uno degli obiettivi che mi ero posto da tempo: esordire in prima squadra prima di diventare maggiorenne. I prossimi traguardi? Fare più minuti possibili con la Nazionale U20, sia nel Sei Nazioni che ai Mondiali, la prossima primavera”.

Diciamo che Paolo ha le idee chiare e non si perde in fronzoli. Il suo idolo?

“Owen Farrell, solido, concreto, ordinato, per è uno dei migliori che ci sono in circolazione, come Sexton e Barrett. Una volta mi piaceva Carter, soprattutto per le qualità al piede”.

Sei anche calciatore dalla piazzola: come ti prepari?

“Con l’unico modo che conosco: lavoro, lavoro, lavoro, non ho ancora individuato scorciatoie”.

Jonny Wilkinson quando mirava ai pali, immaginava una ragazza in tribuna con in mano una lattina di Coca Cola, il suo obiettivo era fargliela cadere di mano.

Ride: “non credo di avere quella fantasia. E non uso tecniche di concentrazione particolare. Mi basta mettermi in campo e calciare”.

L’ultimo pensiero alla famiglia: “no a casa nessuno giocava a rugby, ma mi hanno sempre aiutato, supportato, vengono sempre a vedermi giocare e anche il loro sostegno aiuta”. A diventare grandi. Domani.

Nella foto, Paolo Garbisi buca la difesa dell’Irlanda nel match di Rieti, nell’ultimo Sei Nazioni (foto Daniele Resini/Fotosportit)

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