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Quando a giugno i paesi fortemente interessati alla Coppa del Mondo 2023 (c’è anche l’ltalia), dovranno confermare la loro intenzione a procedere sulla strada della candidatura, potrebbero avere un difficile avversario in meno, il Sudafrica, che il mondiale di rugby ha ospitato nel 1995, all’indomani della caduta dell’apartheid.
Ad oggi le contendenti sono quattro (Sudafrica, Italia, Francia e Irlanda), ma ieri (lunedì 25 aprile) il ministro dello sport Fikile Mbalula ha dichiarato che rugby, cricket, calcio, atletica e netball – i cinque sport più praticati nel paese africano – non potranno ospitare manifestazioni importanti o candidarsi per eventi globali se non porteranno a compimento il processo di parità delle razze. L’unico che in realtà ha già risolto il problema è il calcio che, come è noto, ha una base di praticanti soprattutto tra la popolazione nera.
La cancellazione del passato (qualche giorno fa l’ennesimo richiesta di un membro del Parlamento di eliminare la Springbok dalla maglia: “E’ la protea a rappresentare tutti”) e la sempre più pressante imposizione delle “quote nere” si sono trasformate in costanti del dibattito politico. Non è un caso la nomina a ct della nazionale di rugby di Allister Coetzee, che ha già ottenuto quest’obiettivo negli Stormers, con 11 neri e 12 bianchi nell’elenco consegnato all’arbitro.
Mbalula ha detto che entro un anno, o al massimo agli inizi del 2018, tutti dovranno essersi adeguati. Il diktat non colpisce i Giochi del Commonwealth del 2022 a Durban, inseguiti e ottenuti dal comitato olimpico sudafricano.
G. Cim.

Nella foto di Gianluigi Guercia/Getty Images, Allister Coetzee e, a destra, Fikile Mbalula.

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