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E’ cominciato da qualche settimana il Super Rugby e qualcuno, in Nuova Zelanda, sente frullare nella testa dubbi e interrogativi. Il 6 Nazioni è tutto sostanza, perdi una partita e sei fottuto, e più o meno capitava lo stesso agli antipodi, poco più di vent’anni fa, con il Super 6. Ora con il Super 18 c’è il forte rischio che il sugo sia un po’ lento, il brodo allungato. Il sistema delle conference (una in Australia, una in Nuova Zelanda, due in Sudafrica dove saranno accolti i Sunwolves giapponesi e i Jaguares argentini) è utile a incrinare vecchie solidità.
Comunque, si comincia ora e, dopo una fase ad eliminazione diretta a cui approdano le migliori otto, si finisce ad agosto. A giugno ferie lavorative, nel senso che non si riposa perché arrivano le britanniche e la Francia in tour. Tirando le somme: Super Rugby, test di giugno, fasi finali del Super Rugby, Rugby Championship e test d’autunno in Europa. La global season è servita. L’anno della Coppa del mondo è atteso come una manna: qualche partita in meno si rimedia.
E poi qualcuno si stupisce se molti campioni delle Tre Potenze vengono in Europa. Per i soldi, certo, ma anche perché, al confronto, qui è un giardino delle delizie, un luogo di vacanze. Beh, non esageriamo. Meglio di laggiù, in ogni caso, dove il rugby è diventato una sfida infernale e meno male che ci sono gli isolani,sempre più simili alle truppe che formavano i tercios irti di picche del Re di Spagna. L’ultimo che ha espresso la volontà di volare a nord è David Pocock: un anno sabbatico in Inghilterra non gli dispiacerebbe. I Brumbies non sono d’accordo.
Cimbricus

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