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Dunque ci avevamo azzeccato. Alla vigilia del match avevamo dato il Calvisano vincente di 15 punti. I gialloneri si sono imposti con un vantaggio di 14. Le nostre previsioni partivano dal presupposto di una superiorità netta del Calvisano, mitigata da quel po’ di follia che durante la stagione ha portato la squadra di tanto in a tanto a distrarsi e qualche volta a strafare.

La partenza accorta del Rovigo (12-0) e le disattenzioni finali del Calvisano (due mete degli ospiti) hanno confermato il pronostico.

Il Rovigo ha perso perché la sua difesa non era della sostanza che qualcuno credeva: nell’arco della stagione i rossoblù avevano subito 43 mete, contro le 27 del Calvisano, ventisei i polesani le avevano concesse nel girone di ritorno (17 all’andata) e contro il Petrarca, nelle due partite di semifinale, ne aveva concesse due nella prima partita e due al ritorno. Da questo punto di vista non c’era stato dunque un progressivo miglioramento: la linea difensiva era un colabrodo. Nel girone di ritorno la squadra aveva subito più mete dei Lyons (26) e più del San Donà (23): al di là degli episodi, qualcosa non andava.

Mc Donnell sperava di limitare il potenziale di attacco del Calvisano vincendo il confronto in mischia e touche, ma la mischia del Calvisano ha retto benissimo il confronto e in rimessa laterale Andreotti e Cavalieri non hanno avuto difficoltà a leggere le strategie avversarie che avevano due saltatori molto pesanti (Parker e Boggiani) e l’alternativa Ruffolo sul fondo dello schieramento.   Senza Cicchinelli le opzioni di salto erano ridotte e Cavalieri è un maestro nel disturbare i lanci altrui.

Inoltre nel Rovigo non c’era un solo giocatore capace di fare la differenza nell’uno contro uno, non c’era insomma un Minozzi, o un Bruno, e nemmeno un Novillo capace di accendere di improvviso il match.

Il migliore dell’attacco rossoblù è stato Chillon, non sempre seguito da un adeguato sostegno.

Eppure i campioni d’Italia erano partiti benissimo, approfittando delle sbadataggini degli avversari e collezionando 12 punti nelle quattro occasioni in cui avevano messo piede nella metà campo del Calvisano.

La squadra però non aveva nelle sue corde quel guizzo che ha permesso al Patarò di rovesciare la partita con due mete in due minuti (quelle nel primo tempo di Lucchin e Andreotti).

Lo schema dei polesani era evidente: rallentare il più possibile il gioco e capitalizzare al massimo gli errori altrui.

Quello del Calvisano era opposto, accelerare, accelerare a costo di rischiare.

La strategia preparata è riuscita al Rovigo per mezzora, poi i blitz del Calvisano non hanno avuto più argine e quando i gialloneri hanno segnato anche con drive da touche è stato evidente che alla Femi Cz non sarebbe stato più possibile riacciuffare il match.

Contro le prime quattro della classifica, play off compresi, il Calvisano quest’anno in nove partite, ha messo a segno 39 mete, più di quattro per match, subendone 14 e steccando solo la semifinale di andata con il Viadana allo Zaffanella.

È vero che la finale è una partita a sé, ma quella con il Rovigo ha dimostrato di non esserlo. I gialloneri hanno confermato le loro potenzialità, i rossoblù i loro limiti stagionali.

Il Petrarca si è liquefatto nelle partite decisive della stagione: tre sconfitte e un pareggio col Rovigo (regular season e play off), due sconfitte, entrambe con bonus per l’avversario, contro il Calvisano. Il Viadana ha fatto il massimo, il capolavoro di Frati è stato la semifinale di andata, ma va detto che se non ci fosse stato il caso Petrozzi in semifinale sarebbe arrivato il San Donà.

È stato un campionato vivo e la finale, come l’anno scorso, ne ha nobilitato l’immagine: pubblico, gioco, tifo, emozioni. Purtroppo è un’atmosfera che in Eccellenza viviamo tre o quattro volte all’anno, se va bene. Ma quella è la base su cui bisogna costruire, senza voli pindarici. Le squadre di riferimento sono quelle, piccoli paesi, o cittadine, Petrarca a parte.   Bisogna lavorare lì perché il campionato cresca. È inutile sognare Milano, Roma, Genova, Napoli, Torino (vabbè c’è la Lazio…e l’anno prossimo ci sarà anche Firenze). Ma il rugby non è il calcio e anche con 4.000 spettatori puoi fare una bella festa.

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