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C’è un’unica vera ragione nella riforma generale del rugby internazionale che World Rugby ha ufficializzato, almeno nelle sue grandi linee, nei giorni scorsi: mettere le mani sul tesoro del Sei Nazioni e più in generale su quello prodotto dai test match europei.

Coppa del Mondo a parte, infatti, il Sei Nazioni è la competizione che genera più denaro nel panorama del rugby globale.

Cinque dei sei paesi coinvolti nel Torneo (Galles, Scozia e Inghilterra fanno parte del Regno Unito, gli altri due sono Francia e Italia) occupano posizioni tra le prime dieci della classifica mondiale per Prodotto Interno Lordo, mentre, delle quattro economie del sud (Australia, Nuova Zelanda, Argentina e Sudafrica), tre sono oltre la ventesima posizione.

Benché quest’anno il Sei Nazioni abbia dovuto fare i conti con una consistente riduzione del contratto di sponsorizzazione principale (Guinness paga circa 60 milioni di € per le sei edizioni dal 2019 al 2024, compreso), il giro d’affari totale resta di gran lunga più grande di tutte le altre competizioni: ITV e BBC insieme si sono divise i diritti di trasmissione del Sei Nazioni per i sei anni 2016-2021 per 50 milioni di £ all’anno complessivi.

E i test match d’autunno a Twickenham valgono quasi 10 milioni di £ l’uno.

Cifre che al resto del mondo fanno parecchia gola. Due anni fa gli All Blacks chiesero 3 milioni di “ingaggio” per una partita a Londra, nella previsione che il giro d’affari generato dal match fosse circa il doppio (6 milioni).

Nei paesi del sud del Pacifico questi numeri non sono nemmeno lontanamente immaginabili: gli stadi in Nuova Zelanda sono molto più piccoli di quelli europei e le televisioni locali hanno bacini di utenza molto inferiori, pertanto pagano molto meno.

Il risultato è che al sud non hanno i soldi per trattenere in patria i loro campioni che sempre più spesso, appena sono fuori dal giro della Nazionale si trasferiscono all’estero. Lo stesso accade in Sudafrica e Australia.

Morale i grandi paesi ovali dell’altro emisfero si ritengono depositari dello spettacolo ovale, ma temono di perdere la loro leadership al cospetto del giro d’affari molto più ricco dei paesi europei.

Ecco dunque la proposta caldeggiata da Pichot (argentino) di creare un’unica competizione globale, il Nations Championship, che unisca in un unico formato tutto il rugby internazionale, inglobando anche il Sei Nazioni e il Rugby Championship, compresi i loro diritti, i loro incassi e i loro sponsor.

Non è stato ancora ben spiegato, ma l’obiettivo è mettere tutti questi soldi in un solo conto da dividere poi tra tutti i partecipanti.

È naturale che gli europei siano scettici e che tutti gli altri vedano invece la proposta con favore. La scommessa di Pichot è generare un giro d’affari superiore a quello complessivo attuale in modo che la suddivisione dei proventi non penalizzi nessuno, una specie di moltiplicazione di pani e pesci che lasci gli europei ricchi alla stessa maniera e contemporaneamente redistribuisca molto di più agli altri attori dello spettacolo internazionale.

È una partita delicata che potrebbe cambiare il rugby in modo definitivo. Da maneggiare con molta cura.

Nellafoto di Andrea Staccioli, la scenografia dell’Olimpico durante gli Inni prima dei match.

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