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Contro la Scozia, Sergio Parisse ha festeggiato la sua 65° presenza nel Sei Nazioni, eguagliando il record di Brian O’Driscoll. Ma ha raggiunto anche le 100 sconfitte con la maglia dell’Italia, la qualcosa deve far ridiscutere non il valore del giocatore (leggete sul numero di aprile di Allrugby l’articolo di Stefano Semeraro) bensì l’organizzazione stessa del rugby internazionale.

Il punto della questione è semplice: una squadra come l’Italia, ormai stabilmente piazzata fra il decimo e il quindicesimo posto del ranking internazionale, può vincere al massimo una o due partite all’anno fra quelle che le mette a disposizione il calendario.

Questo è il problema.

Sergio Parisse ha disputato in maglia azzurra 134 partite, perdendone 100. Florin Vlaicu, numero dieci della Romania (ex Calvisano), con la nazionale del suo paese ne ha giocate 111 e ne ha perse 38. C’è qualcosa che non va. Non sarebbe utile mischiare i livelli rendendo meno rigide le barriere che separano Tier1 (il Sei Nazioni e Il Rugby Championship) da Tier 2 (Rugby Europe e dintorni)? Non ne beneficerebbe tutto il movimento, Italia compresa?

Prendete il calcio. Abbiamo paragonato un campione come Sergio Parisse a giocatori di football che non hanno avuto la fortuna di vestire le maglie di nazionali di prima fascia. Andrij Ševčenko, per esempio, con l’Ucraina (35° posto del ranking mondiale) ha disputato 111 partite internazionali e ne ha perse solo 32.

Zlatan Ibrahimovic con la Svezia (19° posto) ne ha disputate 116 perdendone 35 e persino George Weah (Liberia, 135° posto) in percentuale ha vinto più di Parisse (52 partite, 22 vittorie, 11 pareggi, 19 sconfitte). Certo la maggior parte delle sue partite la Liberia le ha disputate in Coppa d’Africa…ma proprio per questo forse il rugby dovrebbe mettere in discussione il suo formato ingessato.

La nazionale italiana di calcio delle ultime 15 partite ne ha vinte 8: 2 con l’Albania, 2 con il Liechtenstein, 1 con Israele, 1 con la Macedonia, 1 con l’Olanda e 1 con l’Uruguay.

Bill Beaumont, presidente di World Rugby, dice che lo sport ovale non è ancora pronto per disputare qualificazioni mondiali aperte a tutti, come quelle del calcio. Ma forse è proprio quella l’unica strada.

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