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Nigel Wray, presidente, amministratore delegato, padrone dei Saracens, possiede una delle più belle collezioni di memorabili sportivi del mondo. A palmi, la più bella. Ora questo elegante signore che non esibisce con modalità volgari né ricchezza né potere, né tantomeno arroganza, può ammirare nella sua galleria anche la Champions.
Maro Itoje, bello, colto, efficace, speso così perfetto da chiudere un match senza un errore, futuro capitano nero dell’Inghilterra, ha vinto un milione di miglia, il premio che la Turkish Airlines offriva al man of the match, un titolo che il poeta-seconda linea, 21 anni e mezzo, aveva già conquistato due volte nel 6 Nazioni. Rapidi calcoli dicono che Maro potrà andare gratis, vita natural durante, a far visita ai parenti in Nigeria.
In un autunno casalingo e drammatico, l’Inghilterra aveva brancolato nel buio e nel delirio, aveva smarrito quella che doveva essere l’ora più bella. In pochi mesi, 6 Nazioni, Grande Slam e Coppa dei Campioni: mancava dal 2007. La Rosa assomiglia alla Fenice che rinasce sempre dalle proprie ceneri.
Riproponendo l’etichetta di una fortunata serie bellica, i Saracens sono stati battezzati Band of Brothers. Niente di meglio, nulla di più pertinente per chi voleva e doveva vincere e lo ha fatto nel senso di una scabra concretezza, di un’efficacia senza fronzoli.
Il Racing è finito in quelle spire e solo Masoe ha provato a liberarsene, finendo però come il povero Laocoonte.
Svolazzando tra storia e rugby, quello di Lione è l‘ennesimo raid al di là del Canale ai danni dei mangiarane. Puntate precedenti, Crecy, Azincourt, Waterloo (anche in due di quelle occasioni il campo di battaglia venne inondato da una pioggia battente) e, appena un paio di mesi fa, Parigi. Avessimo i mezzi di Nigel Wray organizzeremmo una sottosezione della raccolta, imperniata su questi trionfi, ovali e no: Le Crunch.
G. Cim.

Nelle foto di David Rogers, Maro Itoje e George Kruys con la Coppa.

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