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“Sento la responsabilità di sputare nella minestra per denunciare quello che sta diventando il selvaggio west, la terra degli uomini dimenticati: il Championship della Rfu”.
Ben Hooper, 28 anni, pilone del Nottingham, fratello di Stuart, ex Bath, offre la sua testimonianza: il denaro che scorre in Premiership, il livello di preparazione, di assistenza, le garanzie, la solidità e la serietà dei club scompaiono, impallidiscono, diventano un piccolo rivolo quando basta un solo scalino sceso per portare al continente di quella che, detta all’italiana, è la serie B inglese.
Là si guadagna poco – anche contratti da 6.000 sterline l’anno, dice Hooper-, il posto di lavoro può esser perduto anche ricorrendo a scuse risibili, i fondi assicurativi vengono impiegati da certi club per ingaggiare giocatori. “Corriamo gli stessi rischi di quelli della Premiership, ma senza alcuna sicurezza. E’ professionismo, questo? Il mio non è un lamento personale: a Nottingham il trattamento è buono e io, in ogni caso, ho una laurea. La maggior parte dei miei colleghi, no. E’ pensando a loro che ho deciso di parlare, per provare a cambiare lo stato delle cose”. E aggiunge un concetto che in un tempo non lontano sarebbe stato impensabile: “Lo capisco, ormai Il rugby è un business”. Una volta era quel che Evelyn Waugh diceva del viaggiare: un piacere.
La Rfu – ultimo bilancio, 208 milioni di sterline – destina al Championship poco più di mezzo milione.
G. Cim.

Nella foto, un momento della finale del Championship a maggio di quest’anno, fra Newcastle e Bedford (Alex Livesey/Getty Images).

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