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“Chi ci paragona all’Argentina, non sa niente di rugby” disse Brunel qualche tempo fa a chi gli chiedeva perché l’Italia non facesse, o non faccia, i risultati dei Pumas
Ecco allora qualche considerazione qua e là, dopo trionfo dell’Argentina contro il Sudafrica, 26-24, nella seconda giornata del Rugby Championship.
I Pumas contano su una base, qualità individuali e tradizione non confrontabili con quelle italiane e a esse, di recente, hanno aggiunto un’organizzazione tutta finalizzata all’alto livello. Qualcosa che in Italia si è cominciato a fare solo nel 2011 e con tutte le difficoltà note del rapporto tra Fir e Treviso e Fir e Aironi (poi Zebre).
Tanto per cominciare, il rugby è arrivato in Argentina nel 1873, quindi una cinquantina di anni (abbondanti) prima che in Italia, e nel 1910 la Oxford University, di fatto la Nazionale inglese più alcuni scozzesi, disputò un tour nel paese sfidando diverse squadre, compresa quella denominata “The River Plate Rugby Football Union” considerata la prima Nazionale argentina a essere mai scesa in campo.
Nello stesso anno l’Argentina affrontò per la prima volta i British Lions, i quali tornarono successivamente in Sudamerica nel 1927 e nel 1936.
Il rugby era arrivato in Argentina con gli immigrati britannici – qualche decina di migliaia – già prima del ‘900.
Negli anni Sessanta, Inghilterra, Galles, Irlanda e Scozia si recarono tutte e quattro tour in Argentina e nel 1965 i Pumas organizzarono il loro primo tour ufficiale in Sudafrica, vincendo undici partite, compresa quella con gli Junior Springboks e perdendone quattro. Al ritorno in patria gli “albiceleste” furono accolti all’aeroporto da migliaia di tifosi in festa.
Nel 1970 i Pumas batterono due volte l’Irlanda e nel 1979 per la prima volta l’Australia.
Tutto questo quando l’Italia ancora affrontava il Marocco (10-7 a Makarska, nel 1979), il Portogallo (la famosa sconfitta di Coimbra del 1973, 6-9) e perdeva 0-44 con la Romania a Bucarest (nel 1973 l’Argentina aveva battito due volte i rumeni all’FC Oeste).
Possiamo dire che il rugby argentino è stato sempre un buon quarto di secolo avanti al nostro, al di là dei problemi economici ed organizzativi del paese? Si lo possiamo dire senza paura di smentita.
Qualche anno fa, nel 2011, quando l’Italia aveva poco più di sessantamila tesserati, l’Argentina vantava già oltre centomila giocatori e quello che fa più effetto è che il numero dei loro club, circa 400, era all’epoca più o meno la metà di quelli italiani (780). Vuol dire che in Argentina c’erano società con una media di 250 giocatori, sinonimo di battaglie feroci per la maglia e il posto in squadra, in ogni categoria.
Nel 1976, all’Arms Park di Cardiff, solo un calcio di punizione di Phil Bennett, a pochi secondi dalla fine del match evitò al Galles di Gareth Edwards, Jpr Williams e tutti gli altri campioni dell’epoca, un sconfitta clamorosa contro i Pumas sul terreno di casa. Il primo incontro ufficiale tra Italia e Galles si disputerà solo 18 anni più tardi (ottobre 1994).
Nel 1985 Argentina e All Blacks pareggiarono 21-21 a Buenos Aires.
Su queste basi, dalla metà degli anni Ottanta in poi, l’Italia ha importato dall’Argentina centinaia di giocatori, deprimendo i propri vivai e favorendo l’importazione dal Sudamerica di giocatori considerati meno costosi e di miglior qualità rispetto ai nostri.
Nel 2007, prima ancora di sposare il professionismo e con una squadra in larghissima parte basata all’estero l’Argentina si è classificò terza ai Mondiali in Francia, battendo due volte i padroni di casa.
Nel 1996, l’Argentina si era aggiudicata il Mondiale giovanile disputato in Italia, battendo in finale il Galles, a Calvisano.
Il problema dell’Argentina non è mai stato il reperimento dei giocatori, ma la capacità di organizzarne il talento. Diviso in province, fino a pochi anni fa, il rugby argentino premiava quasi esclusivamente gli atleti di Buenos Aires, gli altri, trovando le porte chiuse emigravano all’estero, spesso in Italia.
Dal 2008 in poi la Uar ha dato quel poco di organizzazione che serviva a un movimento straordinario per numeri e talenti: dimentichiamo forse che Castro, Dominguez e Parisse sono tutti di scuola argentina, come i Garcia, i Dellapè, i Canale, i Nieto, i Pez, Canavosio e Orquera?
Dalla base sono stati prelevati i migliori e inseriti, prima nella formazione Pampas XV, quasi interamente composto di giocatori formati dall’High Performance Plan della Uar, poi nei Jaguares, che giocano il Super Rugby. Il Pampas XV – dal 2010 al 2013 – ha fatto base in Sudafrica e ha preso parte alla Vodacom Cup, con allenatore Daniel Hourcade, l’attuale coach dei Pumas. Che avremmo detto in Italia, se negli anni scorsi avessimo mandato 35 “emergenti” a giocare stabilmente in Nuova Zelanda nell’NPC, visto che ancora discutiamo se le Accademie e il Pro12 servono o no?
I Jaguares da quest’anno giocano nel Super Rugby. Il resto del movimento resta praticamente amatoriale e chi non è contento continua ad andarsene come i giocatori arrivati anche quest’anno a Viadana e a Calvisano.
Adesso però l’High Perfomance Plan ha sviluppato sei Rugby Centre (Buenos Aires, Córdoba, Mendoza, Rosario, Salta e Tucumán) che permettono a tutti i giocatori di passare al vaglio del controllo federale e garantiscono una selezione più efficace e “democratica” rispetto al passato.
In contemporanea, con l’entrata nel Super Rugby, chi non gioca in patria non è eleggibile per la Nazionale.
Infine l’aspetto tecnico: i Pumas hanno sempre avuto una buona conquista e una difesa efficace. Ma nei primi anni di Championship questi due elementi non hanno dato soddisfazioni a sufficienza. “Dovete cercare di segnare più mete” fu il consiglio di Graham Henry, chiamato come consulente. E l’efficacia in attacco è diventata una delle nuove caratteristiche della squadra: dopo due giornate del Championship i Pumas sono la formazione che eccetto gli All Blacks (altro pianeta) ha portato avanti più palloni, ha percorso mediamente più metri palla in mano (quasi il doppio dell’Australia – 460 contro 260 – anche il Sudafrica è dietro con una media di circa 300 metri a partita), ha fatto più off load (circa 11 a partita, contro i 6 dei Wallabies e Springboks) e più passaggi (112 a partita – Wallabies 111, Springboks 95). Ma parliamoci chiaro, accademie o non accademie, quanti dei trequarti azzurri hanno giocato titolari nel Top14 o in Inghilterra (Hernandez, Sanchez, Tuculet, Amorosino)? E quante dell nostre “terze scelte” figurerebbero degnamente nel Campionato dell’Urba o dell’Interior?  (glb)

Nella foto di Gabriel Rossi/Getty Images, Juan Manuel Leguizamon vola e conquista palla anticipando Bryan Habana.

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