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Nel 2004, a L’Aquila, in occasione di un match degli Azzurri, sulle tribune fu esposto uno striscione che invocava la “clonazione” del giocatore di casa. Dodici anni dopo, Andrea Masi dice stop. La rottura del tendine d’Achille, a Londra, in occasione di Italia – Francia, match inaugurale dello scorso mondiale, è stata la sua ultima partita. Riproponiamo qui l’intervista che Gregorio Catalano gli aveva fatto per Allrugby, qualche tempo fa.

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Quando è sbarcato in Inghilterra, il director of rugby  dei Wasps Dai Young lo ha presentato così: “Siamo stati fortunati, perché questo ragazzo ha esperienza e versatilità da trasmettere ai compagni. Darà sicuramente qualità alla linea arretrata. Avevamo proprio bisogno di uno così bravo”. Andrea Masi, come ogni buon giocatore ma anche come ogni buon italiano all’estero, si è detto orgoglioso di quelle parole ed ha ricambiato sul campo: sempre presente, sempre tra i migliori.

Vive a South Kensington, gira per Londra in scooter con Consuelo, la sua compagna aquilana. “Città bellissima, giocare qui è sempre stato il mio sogno, ma non avevo mai avuto offerte. A trentuno anni c’è sempre ancora molto da imparare, in campo e fuori: con Consuelo andiamo a lezione di inglese, stiamo facendo progressi”.

Andrea non è solo il primo trequarti italiano approdato nella Premiership, è soprattutto testimone e protagonista della crescita del rugby azzurro, dall’anonimato della seconda fascia al Sei Nazioni. È anche uno dei pochi ad aver vissuto la fase “artigianale” e quella professionistica: titolare a sedici anni con L’Aquila, nazionale a diciotto, indispensabile a trentuno. E se Brad Johnstone non l’avesse inspiegabilmente ignorato per più di tre anni, il veterano del gruppo sarebbe lui. “Veterano è una brutta parola, anche perché io e sono e mi sento giovane. Dopotutto, il primo pallone da rugby l’ho preso in mano tardi, a quattordici anni. Oggi si comincia sotto i dieci. A L’Aquila era lo sport per eccellenza, lo praticavano quasi tutti i miei amici, non potevo sottrarmi. Due anni dopo ero in A, la prima maglia azzurra è arrivata col diploma di geometra, convocato da Massimo Mascioletti per la partita con la Spagna. In quattro anni ero al top, al sogno di ogni ragazzo. E forse questo non mi ha giovato, sarebbe stato meglio non bruciare le tappe, avere un approccio graduale con l’alto livello”.

L’evoluzione tecnica di Masi è andata di pari passo con quella della Nazionale. Fino al premio più ambito, miglior giocatore del Sei Nazioni nel 2011. “A quel riconoscimento tengo molto. L’esperienza internazionale mi ha fatto maturare, così come ha fatto maturare tanti miei compagni che giocano all’estero o nelle franchigie. Sì, perché se vai in Francia o in Inghilterra trovi sempre tre o quattro giocatori pronti a soffiarti la maglia durante la settimana: anche gli allenamenti diventano battaglie alle quali non puoi sottrarti. Magari in Italia ti senti più sicuro del posto in squadra e rischi di rilassarti”.

Già, ma quali sono le differenze tra il rugby di oggi e quello che Masi ha conosciuto da adolescente? “Negli ultimi quindici anni il gioco è cambiato totalmente. È molto più fisico, l’astuzia e la fantasia contano ma quasi sempre vince il più forte. La preparazione atletica e tecnica vanno di pari passo: senza l’una e l’altra non combini niente. Quando ho cominciato io da ragazzino c’era ancora chi prendeva la palla nei suoi ventidue e andava a far meta seminando gli avversari. Oggi è quasi impossibile. E poi allora si faceva meno palestra, eravamo dilettanti anche nella preparazione”.

Ha giocato in Francia col Biarritz e il Racing Parigi, ora è ai London Wasps. Quali le differenze tra le due scuole? “Il rugby inglese è più strutturato, più fisico. I francesi lasciano più spazio all’inventiva. Io preferisco il primo, anche perché il gioco contempla sempre un piano B. Voglio dire che ci sono le soluzioni alternative, soprattutto in attacco. Ogni buona squadra ha tre-quattro schemi per poter variare il gioco. Non voglio dire che in Francia siano più approssimativi, hanno anche loro grandi qualità, ma io preferisco il rugby inglese. Qui sto migliorando anche dal punto di vista fisico, della preparazione. Sì, perché anche alla mia età si può e si deve crescere, migliorare. Quanto ai guadagni, la Francia è certamente più ricca, ma io so accontentarmi”.

Fa un bilancio anche dell’esperienza di vita all’estero. “A Parigi e Londra sei anonimo, ti riconosce solo qualche appassionato o uno dei tanti connazionali. Biarritz è un paesone bellissimo, tutti sanno tutto, quindi poca privacy. E io a quella tengo molto. A Londra mi trovo proprio bene, il campo di allenamento è a sette-otto chilometri da casa, con lo scooter o con il metrò puoi andare dappertutto”.

Il ricordo più bello in azzurro? “Ne ho tanti, ma la meta alla Francia è indimenticabile. Vincere una partita come quella, magari facendo i punti decisivi, è il sogno di ogni giocatore. Un altro sogno realizzato è vedere l’Olimpico pieno. Quando ho esordito in Nazionale e quando giocavo in campionato il pubblico era di poche centinaia di persone. Un bel passo avanti, no? Riesco ancora ad emozionarmi come un bambino di fronte a certi spettacoli. Ma una volta in campo sono sempre freddo. A gestire le tensioni si impara col tempo, ma ci si riesce. E poi, in uno sport di combattimento e di concentrazione non sono ammessi cali di tensione”.

Quando smetterà di giocare, resterà nel rugby? “Mi piacerebbe. Vorrei allenare, anche perché potrei trasmettere la mia esperienza ai giovani. E poi mi piace l’ambiente che, nonostante la crescita del rugby, non vive di eccessi e stranezze”

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Andrea Masi è nato a L’Aquila, il 30 marzo del 1981. Con la maglia neroverde ha esordito in serie A a sedici anni, nel 1987, mentre in Nazionale ha debuttato a 18, ad agosto del 1999. Con L’Aquila ha giocato 6 campionati, prima di passare al Viadana con cui ha vinto scudetto del 2002.

Nel campionato italiano ha disputato complessivamente, 147 partite, mettendo a segno 29 mete). Dal 2006 al 2009 ha giocato nel Biarritz (47 partite tra campionato e coppa, 4 mete), dal 2009 al 2011 nel Racing Metro (27 partite, 3 mete) e nel 2012 negli Aironi (8 partite).  Con gli Wasps, in quattro stagioni, ha collezionati 41 partite nella Premiership e una dozzina nelle coppe europee. In Nazionale ha disputato 95 partite (13 mete).

(Foto di David Rogers/Getty Images)

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